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Quel rosa cangiante che ti rimane impresso negli occhi, quelle striature verdi, gialle, rosse: la Rainbow Mountain, anche detta Montaña de Siete Colores -il cui vero nome è Vinicunca-, è uno dei posti più surreali che io abbia mai visitato. Ovunque guardassi c’era qualcosa di spettacolare, che non avevo mai visto e che mi porterò sempre nel cuore. È lì che alzando gli occhi al cielo, a 5.200 m.s.l.m., ho visto un arcobaleno circolare intorno al sole -un fenomeno raro che si chiama alone solare-, mentre davanti a me si estendeva un paesaggio somigliante a un dipinto impressionista, una montagna enorme dei colori dell’arcobaleno. È lì che ho visto, a relativamente poca distanza, un ghiacciaio immenso, con striature che davano sul blu, sul grigio, sul nero.
Come arrivare alla Rainbow Mountain?
Come tutti i paradisi, c’è uno scotto da pagare; in questo caso una vera sfacchinata da affrontare, sotto tutti i punti di vista: dalla sveglia prima dell’alba con partenza alle 4 da Cusco, alla strada dissestata tutta curve su un minivan scassettato, alla colazione con l’onnipresente pane e marmellata, fino alla salita infinita verso la cima della montagna. E includiamo pure il Photoshop delle fotografie una volta a casa 😉 . Apro parentesi: se pensate di arrivare su e vedere una montagna dai colori sgargianti, cambiate meta, perché mi spiace deludervi ma la Rainbow Mountain non è fucsia come si vede su Instagram. Se dovessi pensare a un colore, direi rosa antico molto sabbioso, in particolare se la giornata è nuvolosa. Mettete poi in conto un precisissimo lavoro di post-produzione delle immagini: quando sono arrivata in cima, c’era più gente che a un concerto di Beyoncé!
Ma torniamo al nostro minivan: con ancora la bolla al naso in stile cartone animato, saliamo sul pulmino che parte immediatamente e che dopo circa quattro ore di viaggio tra vallate, piccoli villaggi di montagna e una miriade di alpaca, lama e vigogne, ci lascia a 3.950 m.s.l.m. Da qui ce la dovremo cavare con le nostre gambe fino ai 5.200 m.s.l.m. Anche oggi completiamo il nostro rito mattutino bevendo una tazza di infuso di foglie di coca contro il mal d’altitudine, poi zaino in spalla, bastone alla mano e iniziamo il trekking. All’inizio sembra una passeggiata, a parte il freddo, che combattiamo con i nostri strati di vestiti a cipolla, motivo per cui non siamo belli da fotografare.
A piedi verso la cima
Il panorama colpisce immediatamente, anche quando la Rainbow Mountain è lontana: siamo di fronte a un altro paesaggio peruviano a perdita d’occhio, il sentiero che seguiamo è una terrazza panoramica naturale che si affaccia su una vallata mastodontica circondata da montagne e ghiacciai. Ce la prendiamo abbastanza comoda, tra foto e fermate varie, e ci accorgiamo più avanti che ci hanno sorpassato in molti, quasi volessero arrivare per primi alla cima.
Alcuni abbandonano il trekking perché c’è un altro modo per arrivare “incolumi” alla Rainbow Mountain: alcuni abitanti dei villaggi vicini portano i turisti sfiniti dalla camminata o dall’altitudine su cavalli o asini proprio sotto il punto più alto, da completare inevitabilmente a piedi. Vedo signore peruviane non proprio giovanissime, vestite con gonna, cappello e scarpe che sembrano pantofole molto fini che corrono avanti e indietro alla velocità della luce per trasportare i turisti armati di scarpe da scalata in groppa al loro cavallo, senza curarsi del fiato corto o dell’aria rarefatta. Avete per caso qualche globulo rosso da vendermi?
L’arrivo
Più si sale e più è dura: voglio andare più veloce ma faccio fatica a respirare, e pensare che mi sono allenata tutto l’anno per questo momento! Le soste diventano più frequenti, però non ci perdiamo d’animo, fretta non ce n’è, anche se la guida ci sprona ad andare più veloci. Alla fine, ci manca solo l’ultimo tratto, che è una salita ripidissima e molto stretta, da fare gomito a gomito con gli altri migliaia di scalatori famelici di arrivare sulla cima, riprendere aria e godersi il panorama.
Dopo poco ce l’abbiamo fatta! Non avevo mai fatto un trekking ad alta quota, quindi nel mio piccolo sono stata soddisfatta di esserci riuscita! Porgo il passaporto a un signore che se ne sta comodamente seduto sul cucuzzolo della Rainbow Mountain e me lo faccio timbrare, come avevo fatto a Taquile qualche giorno prima. Adesso, inizia il servizio fotografico! Una foto con due alpaca, qualche scatto accanto al cartello che indica l’altitudine e poi una buona mezz’ora in contemplazione di questo luogo unico.
Perché la Rainbow Mountain è così colorata?
Merito di alcuni minerali -tra cui zolfo, manganese, ossido di ferro, rame- che nel corso dei millenni si sono depositati e sovrapposti, creando questo luogo pazzesco. Potremmo stare qui a discorrere sulle striature verticali date dalla tettonica a placche, della crosta terrestre e della geologia, ma preferisco parlare delle mie sensazioni e della bellezza di questo posto, dato che -come si sa- Wikipedia fa il resto.
La mia sensazione è ancora quella di sentirmi minuscola di fronte a questi paesaggi che non sembrano avere una fine. La fatica è stata tanta, ma cavoli se non ne è valsa la pena! Ciò che posso dirvi è: andateci se potete! Perché un’esperienza così non si scorda tanto facilmente.
Ora è tempo di scendere, e anche questa sarà una piccola avventura. Ci consigliano di non andare a rotta di collo giù per la scarpata sempre per la storia dell’altitudine, quindi andiamo piano ma nonostante ciò un signore accanto a noi crolla a terra svenuto dopo un capogiro improvviso. Per fortuna le guide si portano dietro l’ossigeno in caso di necessità!
Salutiamo la Rainbow Mountain, risaliamo sul minivan soddisfatti e torniamo a Cusco per farci un bagno caldo assolutamente meritato. L’adrenalina è a mille, l’acido lattico pure, siamo appagati e felici, ma anche un po’ in ansia perché tra pochissimo affronteremo l’ultima sfida del nostro viaggio: andremo a Machu Picchu a piedi (o quasi!). Non perdetevi l’ultimo articolo sul Perù, quella sì che sarà un’avventura!
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